CARITAS ITALIANA HA COINVOLTO DAL 1997 30'000 OBIETTORI



La Caritas italiana ha coinvolto dal 1977 più di 30'000 obiettori in tutta Italia, portando avanti un discorso di obiezione di coscienza che vuole essere innanzitutto una proposta educativa capace di promuovere la solidarietà. Abbiamo posto qualche domanda a Roberto Rambaldi, vicedirettore della Caritas Italiana, per capire come il servizio civile si è sviluppato, all'interno delle loro strutture, in questi vent'anni di storia.

Davanti alla nuova legge svizzera sul servizio civile il problema principale che ora si pone è il cambiamento di mentalità rispetto l'obiezione. Com'è avvenuto da voi? Quale strategia applicare affinché il servizio civile non parta con il piede sbagliato perdendo una parte del suo significato e dei suo valore?

La strategia seguita da noi fu quella della "gradualità silenziosa". Anche da noi si trattava di un'iniziativa nuova ed innovativa, che trovava anche nella Chiesa una sensibilità impreparata. La norma, anche a livello ecclesiale, era che i giovani facessero "servizio alla Patria nella via militare". L'obiezione di coscienza era istintivamente legata all'idea di "sovversione", di "ribellione, di "violenza". Il cambiamento culturale esigeva di sua natura tempi medio lunghi. Già nel 1976 i partecipanti al Convegno Nazionale del Volontariato, promosso dalla Caritas Italiana auspicavano che i gruppi di volontariato e tutte le istituzioni interessate al problema promuovessero l'ampliamento del servizio civile alternativo, non soltanto come rifiuto del militarismo, ma anche come forma opzionale di servizio alla comunità, prendendo iniziative perché attraverso una adeguata riforma della legge istitutiva venisse tolto il senso punitivo e fosse perciò ridotto alla misura del normale servizio militare.

D: Quali sono state le vostre prime preoccupazioni affinché il cambiamento di mentalità potesse avvenire?
La formazione degli obiettori è stata la prima preoccupazione della Caritas italiana: gli obiettori dovevano essere considerati non "manovali" per servizi ai poveri, ma giovani impegnati a rafforzare la propria personalità umana e cristiana, attraverso il servizio, la nonviolenza, l'interiorizzazione del valore della pace.

D: Avete registrato un cambiamento delle motivazioni che conducono gli obiettori all'obiezione di coscienza?
Sì, vi è stato un cambiamento di mentalità tra i primi obiettori entrati nel servizio civile presso la Caritas italiana e le generazioni seguenti. E questo è avvenuto in tempi relativamente brevi. Infatti già nell'83 Monsignore Nervo rispondendo ad una provocazione di Pannella alla TV affermava che "il contributo originale e specifico che i cattolici della seconda generazione di obiettori hanno portato all'obiezione di coscienza è l'integrazione del servizio con l'antimilitarismo. I primi obiettori si limitavano, con molto coraggio e molta decisione, a rifiutare le armi; la seconda generazione di obiettori, che proviene largamente da esperienze di associazioni di volontariato, ha unito al valore della nonviolenza e del rifiuto delle armi, il valore positivo della solidarietà e del servizio che è un elemento essenziale per poter giungere culturalmente e praticamente alla difesa popolare non violenta".

D: Un cammino che domanda quindi di non fermarsi ad una visione magari semplicistica di pacifismo ...
Sì, è necessario prendere e far prendere coscienza che il cammino della pace non si esaurisce nel rifiuto della guerra. Bisogna lavorare nella "prevenzione" sia per modificare le radici strutturali dei conflitti sia per costruire una cultura di solidarietà nel quotidiano. Il lavoro per combattere la fame e il sottosviluppo, l'impegno per ridurre discriminazioni nel territorio (nomadi, immigrati, …), lo sforzo educativo per contrastare l'illegalità e la prassi mafiosa e per favorire la partecipazione popolare e per difendere í diritti dei poveri, sono altrettante strade per costruire la sensibilità e la prassi della pace, che si rifletteranno anche a livelli più ampi. In questo senso la presenza degli obiettori è una grande opportunità da valorizzare.

D: Quale riflesso ha avuto la presenza di obiettori nella Chiesa e nella Caritas italiana?
Per quanto riguarda la cultura diffusa si può affermare che la presenza degli obiettori in oltre 180 diocesi e in molte parrocchie ha lasciato il segno. Il minimo che si può registrare è che gli obiettori sono considerati ormai un fenomeno "ordinario e positivo", anche se la positività è più riferita al "servizio compiuto da tanti bravi ragazzi", che alla significatività della loro opzione di obiettori agli effetti di un cammino di pace e nonviolenza. Per quanto riguarda i riflessi nella vita pastorale, la presenza degli obiettori di coscienza, è ormai una realtà consolidata. Anche solo pensando ai 30'000 obiettori che sono passati dalla Convenzione Caritas, si calcola che circa 12'000 di essi si sono inseriti nelle strutture pastorali (catechesi, Caritas, organismi di volontariato, consigli pastorali, responsabili di associazioni giovanili, sacerdoti o religiosi, ...), portando il peso delle proprie convinzioni e delle maturazioni avvenute negli itinerari formativi dell'anno di servizio.

D: Quale strada seguire affinché l'obiezione diventi affermazione di una nuova cultura ?
L'impegno che, come Caritas possiamo sviluppare maggiormente, è di incrementare la dimensione formativa degli obiettori, ben sapendo che la cultura cammina sulle gambe degli uomini. Saranno i giovani obiettori ben formati, i primi e più efficaci promotori di cambiamento culturale.